Per un’Idea

Quello che Luce provava davanti ad un fiore era qualcosa di indescrivibile.
Dapprima arrivava il profumo, con le sue mille sfumature entusiasmanti. Poi, quando apriva gli occhi, ecco la bellezza disarmante, la perfezione. La delicata voglia di vivere. Per mostrarsi, diffondere il proprio effluvio, protendersi con tutte le proprie forze verso il sole. Farsi amare. Per un giorno, anche uno solo.
Tutte le immense ricchezze di Luce, tutto, valeva meno di una giornata passata nei suoi giardini in primavera. Storditi dalla bellezza e dal profumo dei fiori. Ovunque, fiori.
Era bella, Luce, bellissima. Come una rosa. E proprio la rosa era il suo fiore preferito.
Perché era come lei: attraente, fragile. Ma dura, testarda, tanto da riuscire a crescere fra le rocce, nei punti più impervi.
La vita di Luce finì nella primavera del 1843, quando il medico le diagnosticò una terribile allergia patologica. Sarebbe morta, se avesse passato anche solo un’altra giornata nei giardini in fiore.
Lei ne uscì distrutta. Si ingrigì, appassì, divenne meno solare. I giardinieri non furono più pagati, così come il resto della servitù.
Un anno intero passò. Sola.
Era giovane e bella. Ma triste. Avrebbe potuto continuare a vivere così per chissà quanti anni ancora. Però era testarda, come una rosa. E non voleva arrendersi così.
La primavera era scoppiata con tutta la sua potenza e i giardini di Luce, anche se pieni di erbacce incolte, esplosero di colori e di profumi.
Lei fu vista per l’ultima volta quella mattina di aprile, mentre correva scalza nell’intrico di aiuole, sfumature ed effluvi. I capelli al vento, il sorriso sulle labbra.
Lasciò solo una nota:
Non voglio che il mio corpo venga coperto di terra, ma di petali. Petali di rosa.

Marco Bruschi

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