Guida alla rivista

mensilmente verranno pubblicati testi, articoli, poesie, disegni o qualunque espressione del pensiero relativi ad un tema che è, volta per volta, scelto dalla redazione.

il tema sarà comunicato 20 giorni d'anticipo sul sito, per dare a tutti la possibilità di esprimersi ed inviare alla redazione i propri elaborati.

Il tema del prossimo mese sarà "Notte" .
Vi preghiamo di inviarci il materiale entro il 2 aprile 2007.

Per ragioni di spazio solo alcuni pezzi potranno comparire sulla copia cartacea della rivista, che potete trovare alla sala da tè "Madamadorè" in via S.Martino 90 (Pisa).

parolelibere(at)gmail.com

Parole Libere

Le parole P A R L A N O
A volte stridono avvolte consonano

Le parole insinuano il sospetto
e
Traggono in inganno

Le parole susssssssurrate
pianissssssimo
pungono

DETTE FORTISSIMO
UCCIDONO

Le parole
avvolte
si innamorano

a volte
invece
odiano
allora
è
GUERRA
Gli uomini fanno la guerra?
no mi spiace signori sono le parole a farla
quelle forti quelle che decidono
quelle
non gli uomini col fucile

le parole hanno fantasia

le parole sono ricche
e
sono povere


Le parole hanno anche le catene
Hanno certo molto pudore
il rispetto dite?
no
l'ipocrisia credo
le parole si
indossano l'ipocrisia
dopo aver fatto il nodo alla cravatta si infilano ai piedi l'ipocrisia!

Ogni giorno muoiono
le parole
soppresse
nel cervello
prima
e se sopravvissute
tra i denti
poi


Cari miei
ho tolto le catene
alle mie parole
ho detto loro "divertitevi!"
adesso spero mi ascoltino
spero
siano libere
da me
prima
da voi
poi


Federica Bello

Triangolo Rosa

ROSA è una parola dai molteplici significati.
Per molti Rosa è sinonimo di sentimento profondo, passionalità e purezza….ma non per tutti.
Ad alcuni il colore rosa rievoca brutti ricordi risalenti al periodo nazista quando cucito sul petto degli omosessuali c’era un TRIANGOLO ROSA.
La condizione degli omosessuali al tempo nazista non è chiara a tutti perché spesso sottaciuta. Ben pochi sanno che i gay venivano utilizzati come bersaglio dai tedeschi durante le esercitazioni con le armi. La verità è che gli omosessuali erano trattati anche peggio degli ebrei e per questo motivo spesso cercavano di impossessarsi di una stella di David da sostituire al proprio triangolo.
Le porte dei campi di sterminio si aprirono presto per gli omosessuali tedeschi che già dal 1933 iniziarono ad essere deportati in vari campi di concentramento.

A differenza di ebrei e zingari non vennero deportati omosessuali non tedeschi perché loro venivano rifiutati per il semplice fatto che i gay, essendo incapaci di riprodursi , non contribuivano all’ampliamento del Reich e, siccome la percentuale di gay era del 7-10% della popolazione, iniziarono ad essere puniti legalmente.
Gli SS si accanivano specialmente contro di loro e, per capire cosa portasse loro ad un comportamento non eterosessuale, praticavano sui loro corpi esperimenti scientifici quasi sempre mortali.
Questo fece si che il tasso di suicidio maggiore appartenesse proprio a questa categoria di persone e che i due terzi degli internati omosessuali morisse nel primo anno di reclusione.
La più grande legge anti-omosessuale era l’articolo di legge n 175 che portò in tribunale più di 60.000 gay.
Ma i Triangolo Rosa non erano considerati criminali solo dai tedeschi ma anche da inglesi e dagli americani. Dopo la liberazione gli omosessuali paradossalmente non riacquistarono la libertà ma furono costretti a scontare i loro anni di reclusione senza contar gli anni di permanenza nei campi di concentramenti come anni di galera.
Ormai noi non possiamo cambiare il passato ma ci dobbiamo dedicare al presente senza però dimenticare il passato.
La giornata della memoria serve proprio a questo, cioè a far ricordare a tutti gli orrori commessi dalla politica nazifascista.
E soprattutto le vittime causate da essa, ma qualcuno ricorda di aver mai sentito parlare del triangolo rosa durante questa ricorrenza?
Purtroppo l’ostracismo nei confronti del Triangolo Rosa e degli omosessuali persiste e loro per paura del giudizio della massa si nascondono dietro finte personalità.
L’unico monumento dedicato alle vittime omosessuali degli anni 30 si trova ad Amsterdam , il “Homomonument” situato a WestMarkt Square non lontano dal centro della città.
L’ Italia come molti altri paesi non possiede alcun monumento dedicato a questa categoria di vittime forse per vergogna o forse per ignoranza e non tutti hanno capito che l’uomo non può essere libero se trattato in maniera diversa a seconda dell’orientamento sessuale.
Davide L’Incesso

Il Rosa dell’Alba

Rosa l’alba di questo giorno che sarà rossa dei fuochi al tramonto.
I rumori che provengono dal campo degli Achei avvertono le nostre sentinelle che i barbari stanno preparando le loro pesanti armature.
Un sol uomo di bronzo affronterà il gigante di pietra.
Prego te Atena, reggi forte la mia mano: non farmi cadere lo scudo, salda sostieni la mia lancia.
Combatterò al fianco del prode Ettore.
Migliaia di uomini saranno il suo braccio ed il suo nome entrerà nella storia.
Ma a mio figlio nessuno dirà che a fermare le frecce dei Greci, a salvare il nostro Principe ero io.
Rosa il colore del cielo in questa alba, ma vermiglio il tramonto, bagnato dal nostro sangue.
I figli di Ilio, anche oggi, si immoleranno per colpa dell’Amore
Marco Franchini

Uomini in Rosa

Pink Anderson e Floyd Council. Avete già capito di cosa si tratta.
Nasce così, dall’esigenza di rendere omaggio su omaggio: nel caso qui sopra citato di tributare a due grandi bluesman (i signori Anderson e Council appunto) l’onore di far parte, se non essere l’embrione, di una leggenda, di una stella che segnerà il cammino di gran parte della musica post ’60; nel mio, invece, di addentrarmi nei suoni, nella materia e nei contorni di questa storia orchestrale.
Immaginiamo un pomeriggio come tanti di un anno, il 1965, come tanti, ma anch’esso preludio di un sogno: un critico musicale di primo livello scrisse: ”se la musica è spazio e tempo, i Floyd la sanno suonare al meglio, spingendo spazio e tempo verso orizzonti senza fine”; pionieri di un panorama in fermento –quello londinese di fine anni ’60- e portatori di questa “fiamma rosa”, i giovani londinesi sono da considerare figli del loro tempo e al contempo padri del medesimo “tempo musicale”.
Mi piace immaginare che tutto sia nato in un contesto a me –a noi- così vicino: quello universitario che accende, nell’immaginario di chi è disposto ad esporsi a nuove, infinite e circolari proposte, una “dottrina multicolore”, traduttrice di molti temi cari alla letteratura di fantascienza che spezza i canoni classici dell’interpretazione rock e propone una scrittura diversa, risultato di mescolanze sonore di diverse origini (dai canti gregoriani a contaminazioni classiche come Debussy).
Tre personaggi, i giovani Roger, Nick e Rick ( i signori Waters, Mason e Wright) e un idolo delle folli notti in technicolor della Londra beat ’60 psichedelica, il giovane “pittore” Syd (deus-ex-machina Barret); la follia lucida del giovane visionario e la sua capacità di creare un mondo tutto suo, si sposa con la proposta dei tre novelli musicisti, suoi imberti coinquilini (tra hi-fi, chitarre, cuscini, libri e quadri), di proiettarsi in un futuro immediato fatto di note e non di pittura; paradossalmente il risultato è un ancestrale connubio non solo tra pittura e musica, ma tra forme lontane di arte avanguardistica, alimentate da una “sana schizofrenia” (iniziale intendiamoci!!) e dal desiderio di viaggiare ai confini dell’immaginario –“guardando” così la terra dalla luna.
La cronologia vuole una storia folle, fatta di acidi e di visioni frustranti e paranoiche che portano il giovane Syd a infrangersi su quel “muro del suono” che egli stesso aveva plasmato; ma questa è storia! Che Barret abbandoni per scelta o sia costretto a farlo poco importa perché David (Gimour) è pronto a proiettarsi in quella “pazzia lucida”, in quel tutto senza parti che è il “the Pink Floyd sound” –uso non convenzionale di feedback, distorsioni, riverberi, sovraincisioni, passaggi “strani”. Gilmour lega benissimo con quei suoni inestricabili, fili invisibili del cotone idrofilo (i Floyd in realtà non sono mai stati veramente del chitarrista Barret ma divennero totalmente di Gilmour con il battesimo spaziale di “The Dark Side Of The Moon”: Alan Parson tecnico del suono e l’idea di una società contemporanea caotica e vittima di follie e manie; la maestria dei quattro uomini in rosa e la loro padronanza tecnica, crea uno scenario cauto, profondo, limpido e sottile, proiettato nel futuro).
Nell’ anno 1966, così detto della “crisalide”, i Beatles sono già un’istituzione e la nuova generazione persa in fantomatici festini all’insegna dell’LSD (la pazzia degli acidi) e alla sfrenata ricerca di una meta, sente l’esigenza di essere coinvolta in esperienze lisergiche che band come i Cream, Greateful Dead, Hendrix’s Experience, Who e Pink Faires –e moltissimi altri- relegano a performance che viaggiano oltre le frequenze sonore, si svincolano dagli obblighi di sequenza e approdano in visioni “live” (vere e proprie immersioni metafisiche). La location londinese che tentava in quegli anni di realizzare il grande sogno era l’”Ufo Club”; espressione di un’arte totale, multimediale con suonatori di sitar e di free jazz, proiezioni di Warhol e Bunel e poeti strambi e psichedelici. Il contributo che i Pink danno è quello appunto di sconvolgere il mondo distorto dei freak; da un album come “The Piper…” brani come “Astronomi Domine” e “Interstellar Overdrive” sfociano in un clima tirato fino alla nausea e all’esasperazione.
Chi ascolta i signori dello spazio all’opera nelle plurime versioni in circolo, conosce l’evoluzione compositiva che il gruppo ha mostrato pur non discostandosi dalla formulazione sonora di un sogno: “A Saucerful Of Secret” (1968), “More” (1969), “Ummagumma” (1969), “Atom Heart Mother” (1970), “Meddle” (1971), “Obscured By Clouds” (1972), “The Dark Side Of The Moon” (1973), “Wish You Were Here” (1975) e “Animals” (1977) sono le mete di un percorso obliquo che ha forza nel suo essere, insieme, nitido, limpido e nebuloso; una “M”usica che trova ampio respiro anche in produzioni legate all’arte del cinema (di Antonioni primo fra tutti); la celluloide si serve del loro sound per creare un’ astratta confezione sonora che tramuta poi in icona giovanile di libertà e vita (desolante e un po’ controversa!), giunta fino a noi e mutata solo nella forma.
Seduti al cinema in poltrona o nei momenti di maggiore intimità, negli strumenti di questi uomini scesi dalla luna, vi è il potere e il semplice respiro di dar vita a un suggestione che ancora oggi riesce a generare un’emozione avvolta, soffice, quasi una seconda pelle.
Giuseppe Càssaro

Labbra di Veleno

Vorrei strapparmi la bocca
la stessa che tu paragoni
ad un bocciolo di Rosa

Vorrei mordermi le labbra
tanto da farle sanguinare
perché si avvicinano a labbra
Straniere
cercando le tue

Vorrei non avere più la bocca,
quei due petali vermigli
che non riescono a dirti
quello che sai già.

Vorrei non aver mai
baciato la tua bocca
fiore spinoso
che ha iniettato in me il veleno.

Rachele Massei

Puntinismo Elettronico ed Emozioni Rosa



La tela qui di fianco ci appare come un mosaico mal composto in cui i tasselli forse mossi da un alito di vento si mescolano nella tela lasciando intravedere solo
un’ immagine sfocata di donna .
Si potrebbe pensare a Paul Signac e Gorges Seurat quindi ad una rivisitazione del Puntinismo di fine Ottocento e primi del Novecento;
invece no, infatti quello di Salvatore Polistena è un Puntinismo Elettronico, l’artista ha evidentemente cercato di fornirci un’ immagine familiare,
un’ immagine che in sostanza rappresenti il nostro secolo,
un’immagine cioè televisiva: se ci pensiamo bene la televisione è diventata, per moltissimi, indispensabile come l’energia elettrica o l’acqua corrente. L’immagine televisiva è un fascio di punti elettronici che si compongono nella cosiddetta Trama Televisiva e questo quadro è un esplosione di punti luminosi, punti che vibrano trasformando la luce in tante sfumature diverse di uno stesso colore: il Rosa.
Potremmo però avanzare anche un’altra ipotesi: l’immagine della donna ritratta si compone nei ricordi del pittore pian piano, un pezzo alla volta, eppure i frammenti sono continuamente disordinati e nonostante il grande sforzo questa è l’unica immagine che la memoria fornisce agli occhi della mente dell’artista.
La realtà scivola attraverso il Polistena lasciando in lui soltanto la sua essenza, il suo profumo ed il suo colore sgretolandosi poi in un impasto armonioso con la sua anima. Da quel connubio misterioso
sorge la stessa dimensione dell’autore, la sua fantasia e la sua Arte.
Non può mai giungere nitida l’immagine della realtà attraverso lo sguardo del pittore: essa infatti propone al mondo solo il ricordo sfumato e vago di un giorno in cui quella donna ha regalato all’autore un’emozione Rosa.
Federica Bello

Per un’Idea

Quello che Luce provava davanti ad un fiore era qualcosa di indescrivibile.
Dapprima arrivava il profumo, con le sue mille sfumature entusiasmanti. Poi, quando apriva gli occhi, ecco la bellezza disarmante, la perfezione. La delicata voglia di vivere. Per mostrarsi, diffondere il proprio effluvio, protendersi con tutte le proprie forze verso il sole. Farsi amare. Per un giorno, anche uno solo.
Tutte le immense ricchezze di Luce, tutto, valeva meno di una giornata passata nei suoi giardini in primavera. Storditi dalla bellezza e dal profumo dei fiori. Ovunque, fiori.
Era bella, Luce, bellissima. Come una rosa. E proprio la rosa era il suo fiore preferito.
Perché era come lei: attraente, fragile. Ma dura, testarda, tanto da riuscire a crescere fra le rocce, nei punti più impervi.
La vita di Luce finì nella primavera del 1843, quando il medico le diagnosticò una terribile allergia patologica. Sarebbe morta, se avesse passato anche solo un’altra giornata nei giardini in fiore.
Lei ne uscì distrutta. Si ingrigì, appassì, divenne meno solare. I giardinieri non furono più pagati, così come il resto della servitù.
Un anno intero passò. Sola.
Era giovane e bella. Ma triste. Avrebbe potuto continuare a vivere così per chissà quanti anni ancora. Però era testarda, come una rosa. E non voleva arrendersi così.
La primavera era scoppiata con tutta la sua potenza e i giardini di Luce, anche se pieni di erbacce incolte, esplosero di colori e di profumi.
Lei fu vista per l’ultima volta quella mattina di aprile, mentre correva scalza nell’intrico di aiuole, sfumature ed effluvi. I capelli al vento, il sorriso sulle labbra.
Lasciò solo una nota:
Non voglio che il mio corpo venga coperto di terra, ma di petali. Petali di rosa.

Marco Bruschi

Le Rose del Deserto

Nella prossimità del periodo natalizio nelle sale italiane è uscita l’ultima opera (la sessantacinquesima) del grande regista Mario Monicelli.
Il film tratta la storia del terzo reparto della sezione sanità delle truppe italiane presenti in Libia nell’estate del 1940; inizialmente il loro compito sembra più simile ad una missione umanitaria che a fini bellici, ma ben presto gli orrori della guerra li riporteranno alla realtà.
Il film è a mio avviso molto gradevole,certo non paragonabile ai grandi capolavori dello stesso genere come “la grande guerra”.
Ma comunque apprezzabile soprattutto grazie all’enorme sensibilità del regista e alla sua innata capacità di narrare la tragedia con umorismo, in modo da far riflettere senza traumatizzare.
Molto interessante e’ il passaggio da una fase iniziale nel film di particolare quiete al momento in cui la guerra riporta i vari soldati alla realtà; una guerra che abbiamo affrontato in maniera impreparata, e di cui nessuno, dal soldato semplice al più alto graduato, comprende a pieno le motivazioni o i fini (un operazione bellica di cui il regista mostra tutta la futilità).
Una nota negativa può essere considerata la poca considerazione che a mio parere viene attribuita all’ambiente circostante in cui la vicenda si sviluppa; viene mostrato in maniera davvero marginale la maniera di reagire e di interagire dei locali all’arrivo italiano in terra libica, non mostrando il modo in cui il comparto italiano vive l’immersione in una cultura e un ambiente così diverso da quello natio.
Comprendo le necessità di tempo e sceneggiatura che hanno spinto a tale scelta (in fondo il film e’ centrato sull’esercito italiano), ma credo che una maggior interazione tra i due mondi avrebbe permesso di comprenderne meglio le differenze e le comunioni, ad appannaggio di un maggior risalto dei personaggi.
Molto apprezzabili i a tale riguardo i vari attori, dai più rinomati (Pasotti, Haber ed uno straordinario placido nei panni di un prete in missione) alle semplici comparse, molto abili nel creare personaggi ricchi di sfumature e particolarità.
A tutti va riconosciuta la capacità di mostrare i vari aspetti dell’Italia di quel tempo (con le varie differenze derivanti da un diverso ceppo sociale e territoriali) e di come le situazioni più tragiche riescano a far risaltare l’umanità delle persone.
A mio avviso quindi un’opera meritevole, che se anche non può reggere il paragone con le opere del passato del suo creatore, possiede ancora quel tocco che ha reso di Monicelli uno dei maestri indiscussi del nostro cinema.
Purtroppo mi duole constatare (senza un eccessiva sorpresa) di come tale film, pur uscendo in un periodo come quello prenatalizio, sia passato in netta sordina rispetto ai soliti film di natale.
Con tale consapevolezza nel cuore scrivo tale recensione, sperando di informare sulla sua esistenza chi ne era inconsapevole (a causa della misera campagna pubblicitaria), ma soprattutto di convincere chi lo ha sottovalutato di avere un'altra occasione di vedere un bel film, carico di tutto l’umorismo e la poesia di un maestro del nostro cinema, che ha ancora tanto da trasmetterci.
Paolo L’Incesso

Lasagne al Pesto

Tra i fornelli di “Nonna Rosa” si è celebrato il più riuscito dei matrimoni, di quelli destinati a non cadere nel “letargo di abitudini”, come diceva O. Wilde, ma anzi a rinnovare ogni giorno le sue promesse.
I coniugi sono due fra i capisaldi della cucina mediterranea: la Melanzana, il frutto del sole, buona in ogni sua forma, fritta, ripiena, alla griglia, alla parmigiana e la Lasagna, appetibile al solo nominarla, familiare, stuzzicante, accogliente.
Per soddisfare, poi, tutti i palati ed accontentare tanto i golosi quanto gli irriducibili sostenitori della dieta, prescinderemo dalla frittura.
Il Pesto si ottenga frullando le melanzane precedentemente cotte in forno a 180° per circa 30’ avvolte in un foglio di stagnola, continuando a frullare si aggiungano basilico, olio, latte nella proporzione desiderata, parmigiano ed aglio.
Il pesto dovrà risultare cremoso e non troppo denso, si ricoprano interamente gli strati di lasagna e la si cuocia direttamente in forno a 180° per circa 30’ in una teglia coperta di stagnola.
E cosi i soffici strati della lasagna accolgono la melanzana, che per lei si è fatta crema, per meglio penetrare in ogni sua feritoia.
A cottura ultimata si scopra la lasagna e si cosparga l’ultimo strato di abbondante parmigiano e si ripassi in forno a gratinare per dieci minuti.
Il connubio è così realizzato. A discrezione di chi si accosta a questa ricetta la scelta di aggiunger mozzarella tra i vari strati della Lasagna.
Dalla cucina di “Nonna Rosa” Buon appetito!

Sono Fiorite Le Rose

Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
Così dimenticammo le rose.

(Dino Campana
per Sibilla Aleramo)