GUIDA ALLA RIVISTA

mensilmente verranno pubblicati testi, articoli, poesie, disegni o qualunque espressione del pensiero relativi ad un tema che è, volta per volta, scelto dalla redazione.

il tema sarà comunicato 18 giorni d'anticipo sul sito, per dare a tutti la possibilità di esprimersi ed inviare alla redazione i propri elaborati.

Il tema del prossimo mese sarà "CAFFE'"
Vi preghiamo di inviarci il materiale entro il 12 GIUGNO 2007.

La pubblicazione cartacea della rivista è sospesa per i mesi estivi e riprenderà da settembre, ma il blog è sempre attivo, scriveteci e noi pubblicheremo le vostre parole!

parolelibere(at)gmail.com

Uno scrigno di memorie: la Prospettiva Nevskj

Figure evanescenti, richiami politici, evocazioni. Di una storia, di una cultura. Quattro chilometri e mezzo di asfalto contornati da edifici fra i più mirabili e celebri di Leningrado, capace di rievocare romanticismo e splendore degli Champs-Élysées parigini. Omaggiata in letteratura da Nikolaj Gogol' nei suoi Racconti di Pietroburgo, vive da più di un ventennio anche nel patrimonio musicale italiano grazie all'opera di Franco Battiato. Prospettiva Nevskj è un grande boulevard verso il fiume Neva, dedicato al condottiere russo Alexander Nevskj che respinse l'invasione tedesca nella mitica battaglia del lago ghiacciato. Vicenda a cui anche il genio di Ejzenštejn dedicò il film omonimo con le musiche di Prokofiev. Un coacervo di storia e di cultura, dunque, riecheggia già nel titolo di questa delicata composizione contenuta in Patriots del 1980.

I primi trent'anni del Novecento russo vengono tradotti in poco più di tre minuti di note e parole: con espliciti richiami alla rivoluzione e ai movimenti artistici (i diaghileviani Ballets Russes e Nijinsky, Stravinskij, il già citato Ejzenštejn), ma anche con sospese visioni, lasciate nel finale al giudizio e alla fantasia dell'uditore, attraverso un vago riferimento ad un maestro. Probabile allusione a George Ivanovitch Gurdjieff, filosofo greco-armeno militante a Pietroburgo intorno alla fine degli anni Dieci, in cui Battiato aveva trovato un vero maestro per la forte assonanza con il proprio pensiero. A Gurdjieff si attribuisce aver portato in occidente la teoria dell'Enneagramma, dopo essersene imbattuto negli ambienti dell'esoterismo islamico e della tradizione sufi, e di aver influenzato Oscar Ichazo e i più importanti esponenti della Gestalt fra cui Fritz Perls e Claudio Naranjo. L'espressione "Trovare l'alba dentro l'imbrunire" è dunque una probabile eco degli insegnamenti del maestro greco-armeno, che propugnava la possibilità di trovare una nuova vita (l'alba) attraverso un cammino di ricerca della verità, che conduca alla consapevolezza e ad un livello di vita superiore che va ben oltre la morte (l'imbrunire).

Franco Battiato ha voluto ricordare con questa finestra sul passato un'immagine di un posto lontano, di una vita lontana, che ha però influenzato la cultura di tutti noi.

Il mondo gira, l'esistenza fluisce veloce, volti, anime si rincorrono in vie dai nomi dimenticati, dietro cui, però, si occulta una storia, un vissuto, uno scrigno di memoria, che non possiamo gettare al vento e dimenticare.


Davide Pampana

Strade di sonno senza fame!!!

Strade di sonno senza fame!!!

Non ho più strade da sfogliare

ho perduto i miei quaderni

Non ho più fame da dipingere

ho perduto le mie tele

Non ho più sonno da ascoltare

Ho perduto la mia musica

Troverò solo me stessa

in un angolo della testa

senza dritte senza curve

solo cieli da guardare

nelle mie parole libere

senza senso

sono

io

Federica Bello

sulla via di casa

LUIGI

I capelli percorsi da mille fili argentei che si muovono disordinatamente ad ogni movimento del capo. Gli occhi sempre allerta, spesso arrabbiati, certo consapevoli, ma mai arrendevoli. La barba folta e bianca che gli avvolge il viso quasi proteggendolo dal mondo esterno, quello contro cui combatte. Le mani forti e nervose che operano sicure contro le assurdità.

Questo è il ritratto di un uomo, questa è la storia di una vita dedicata a delle idee prepotenti, che non sanno stare zitte dentro la testa.

Giovane ribelle negli anni ’60, capo del servizio d’ordine del movimento studentesco milanese, per ideali a cui in quegli anni non si poteva non aderire, per incoscienza giovanile, per principi che dovevano ancora levigarsi e strofinarsi con la realtà.

Poi gli studi, la laurea in medicina, la decisione di partire per mettere a frutto gli anni trascorsi sui libri: Stati Uniti, Gran Bretagna, Sudafrica, a fare trapianti di cuore.

Negli anni novanta è impegnato con la croce rossa nelle zone di guerra, porta aiuto in Pakistan, in Etiopia, in Tailandia; poi a Kabul, in Perù, poi ancora a Kabul; nel 1993 in Somalia. Nel 1994 in Bosnia. Anni di esperienze, di sofferenze, di realtà concrete.

Allora gli ideali e la volontà si scontrano con i problemi quotidiani: con la lentezza delle grandi organizzazioni umanitarie, con la burocratizzazione dei rapporti internazionali, con le assurdità a cui non sembra possibile porre rimedio.

Nella primavera del 1994 la decisione di ribellarsi ancora, di fondare un’associazione tutta sua, che di suo ha la testardaggine e la libertà. Così riunisce un team di livello internazionale: medici, infermieri, chirurghi, volontari, e nell’agosto dello stesso anno, riapre l’ospedale della capitale del Ruanda, Kigali, precedentemente devastato dalla guerra.

Ora Luigi ha progetti concreti, opere solide da costruire, ma non intende dipendere da aiuti governativi, non ha ancora imparato ad abbassare la testa: vuole esprimere libere opinioni sui conflitti che lo circondano, che ha imparato ha detestare.

Per lui nessuna guerra è legittima. Il sangue è sempre sangue, ma soprattutto TUTTI hanno diritto ad essere curati.

La sua organizzazione cresce di anno in anno e sale alla ribalta delle cronache internazionali, soprattutto negli ultimi anni con i conflitti in Afghanistan ed in Iraq: perché quando tutti scappano da Kabul, lui arriva; quando Baghdad è messa a ferro e fuoco, lui viene, ed opera.

Non è un eroe, non è un mito, non è un santo.

E’ un uomo testardo come ce ne sono pochi, che ama quello che fa e lo fa perché non può farne a meno.

C’è chi lo odia, chi lo ama, chi lo accusa di eccessivo protagonismo o di manie di potere.

Forse è vero. Del resto è un uomo, con tutti i suoi difetti.

Ma quel piccolo uomo, grazie a quei difetti, è riuscito a salvare più vite di quante lui stesso se ne può ricordare, ed ha ricostruito speranze dove altri uomini, con altri difetti, hanno portato solo macerie.

Se oggi in molte zone di guerra esiste un ospedale o un centro di aiuti è merito suo, delle sue idee prepotenti che non hanno guardato in faccia a nessuno, che da sempre vogliono e pretendono di essere ascoltate.

Questa è la storia di un uomo chiamato Luigi Strada.

Per gli amici, e il resto del mondo, Gino.


Rachele Massei

On the road

Come bere un bicchiere di tequila. Bum bum. Così è stato scritto On the road: tutto d’un fiato.

On the road, a scapito di ogni maccheronica quanto improbabile traduzione. Perché non si può chiamare “Sulla strada” un libro che racconta di uno spirito nato in america e poi trasferito qui. Lo spirito del viaggio. Splendido, romantico, autodistruttivo e sordido viaggio. Strada droga, meta invisibile. In realtà la meta è il viaggio stesso, la voglia di fare i vagabondi, forse di scappare da qualcosa, forse trovare se stessi fra il puzzo di benzina e i vapori dell’asfalto. On the road è stato scritto, si dice, in due settimane, sotto effetto di benzedrina. Un lungo inesorabile capitolo, tutto di seguito. Che poi editor incompetenti hanno diviso in tanti capitolini. Jack Kerouac ne è l’autore. Simbolo di una generazione intera di zingari felici con il sacco a pelo sulle spalle, nessun soldo in tasca e tanti sogni i testa. Forse lui nemmeno lo voleva, diventare un simbolo.

Lo spirito intrinseco del libro si può condividere o meno, ma la lettura ce lo sbatte addosso comunque. È come immergersi in una vasca fatta di parole, con turbini improvvisi dell’acqua, che fanno girare la testa. A volte sinceramente stancano, perché è difficile leggere la frenesia, la smania, l’ardore di qualcuno che non riesce a stare fermo, che non ha casa, che ha solo una meta.

La strada.

Bruschi Marco

Storia di un viaggio

Avevamo due buste di erba, settantacinque palline di mescalina, cinque fogli di acido superpotente, una saliera mezza piena di cocaina, un'intera galassia multicolore di eccitanti, calmanti, scoppianti, esilaranti. E anche un litro di tequila, un litro di rum, una cassa di birra, mezzo litro di etere puro e due dozzine di fialette di popper. Non che per il viaggio ci servisse tutta quella roba, ma quando ti ritrovi invischiato in una seria raccolta di droghe, la tendenza è di spingerla più in là che puoi.

Si vero?

Bella citazione.

Non ho niente di tutto questo, ma la sensazione di trovarmi in una stanza che gira piena di dinosauri è la stessa.

Voglio alzarmi e partire, voglio prendere il mio zaino e non far funzionare più il cervello, muovermi come solo il mio istinto possa fare,

vedere gli sfondi del paesaggio cambiare colore, vedere la strada che si alza e si abbassa e diventa sempre più lunga stringendosi fino a diventare larga quanto un mio piede.

Riesco a non pensare, ed altro ancora, sto male, lo stomaco si sta ribaltando.

Trovo un compagno di viaggio, mi si affianca, un vecchio uomo, il passo lento sicuro, lo sguardo fisso nel vuoto, cerca sempre di portarmi avanti e farmi fare le scelte giuste, ma da uno che ti dice “Il Cane Si è Fatto Il Popper” non accetti insegnamenti di sorta.

Scrivere di getto non è facile, trovare la voglia di fare qualcosa, per se che piaccia agli altri, ma senza offendere nessuno.

Sto continuando a muovermi ormai per inerzia, uccellini mi volano intorno sempre più euforici, mi gira la testa.

Comincio a delineare i volti delle persone, non vedo più piante e cespugli fosforescenti lungo la strada.

Credo che smetterò di scrivere, credo che andrò in bagno a vomitare. Credo che prestò avrò altre esperienze del genere da raccontare…

Spero di no.


Franchini Marco-Alberto

La strada verso te

Tesoro,

Quanti credono che l’uomo nasca e muoia solo, quanti credono che l’amicizia, l’amore siano immaginarie sensazioni di un istante?

Per me non è così, è immaginazione il fatto che non esistono ponti fra l’io e il tu, che ognuno cammini solo ed incompreso.

È proprio l’opposto: il legame che gli esseri umani hanno in comune è molto più grande e importante della sfera che ciascuno ha per sé solo e per cui si distingue dagli altri.

Io non sono più nulla, lo capisci?

Vuoi capire che se tutto il mondo fosse per me, se mi fosse donato, io non colmerei il vuoto che la tua mancanza mi procura, perché io esisto con te, vivo se tu vivi, soffro se tu soffri, piango se tu piangi.

È il tuo sangue che scorre nelle mie vene, il tuo odore che io sento, il tuo ricordo nei miei sogni.

Questo provo per te.

È vero, non so se sia amore, parola arbitrariamente utilizzata, troppo spesso e nel modo più sbagliato; gli uomini amano mangiare, amano far sesso, amano comandare, amano ferire, allora se anche questo è amore io non ti amo.

Se invece l’amore è un bianco ruscello che scorre nei giardini della luna, dove ogni giorno si fa festa a te, e attorno a questa gira un grande sole. E gli occhi tuoi sono questo sole, allora ogni giorno andrò alla sua foce, mi spoglierò dei miei vestiti e sarò sua nuda proprietà. E non permetterò che alcun uomo possa contaminarlo, aspettando te, aspettando che decida anche tu di abbandonare i costumi che ci sono stati imposti da per essere libero di amare completamente ed unicamente.

Ti prego di amare, sempre e comunque, di vivere d’amore, di cercarlo negli altrui sguardi senza sosta, perché se la dura realtà dovesse presentarsi alla porta del nostro giardino segreto, tu potrai guardarla e intenderla diversamente, e se ci dovesse riportare da lei ed inevitabilmente separare, saprai di ritrovarmi al mercato degli schiavi imprigionata in quelle pesanti catene che solo amandomi avrai potuto spontaneamente offrirmi.

Sguardi viandanti

Quando Friedrich dipinse il suo viandante lo lasciò di spalle.

Noi non vediamo i suoi occhi.

Possiamo solo immaginarne lo sguardo perturbato e commosso che si posa sul mare di nebbia.

Un mare infinito, denso d’aria e di nuvole, che vorrebbe prendere d’assalto la rupe su cui il solitario viaggiatore è arrivato.

Non sappiamo da dove, né come.
Non ci sono strade. Le sue strade sono la sua inquietudine che non gli dà riposo.

Così , capita d’incontrare persone che hanno sguardi viandanti.

Poeti, musicisti, ladri, puttane.

Di loro si dice che soffrano il male del tempo, il dolore della memoria; questi ricordi fantasmi che spingono alla fuga e scavano, scavano termitai di ossessione.

Fate pure venire il medico dei pazzi a visitarci con tutta la sua scienza e non avrà parole.

Disegnate le vie che corriamo, portatemi le mappe del mondo, la geografia di ogni spazio abitato, spingetevi perfino nei cortili abbandonati e nei vicoli più sordidi, non troverete nulla.

Noi abitiamo una Harlem dimenticata, di polvere e pianto e giardini di là dal tempo per le nostre melodie.

Siamo i padroni delle ombre, negromanti colmi d’amore e stupore lungo le strade dell’innocenza.

Cavalchiamo le forme dei sogni e il profumo del vento sulla steppa infinita.

Strade, tappeto d’immaginazione tessuto nella nostra sensibilità.

Le Vie dei Canti, la creazione della Terra e una musica aborigena per le nostre traiettorie migranti.

Edipo al trivio di fronte al padre Laio e le baccanti in corteo su strade di montagna: oreibasìa dell’anima.

Le passeggiate solitarie di Robert Walser, scrittore dei silenzi.

Le strade della storia e quelle interrotte dai muri.

Quanto tempo senza poter camminare, senza poter pensare!

E in tutto questo, noi, noi, noi!

Siamo vie tacite e assopite dopo la pioggia, polvere innamorata che tra mazzi di carte e partite giocate sulla scacchiera della vita cerca di divinare una meta, inscritta ai confini del nostro io.
Claudia Ciardi

Per Parole in libertà

LE STRADE DI UN UOMO

Devo ammettere che il tema di questa edizione del giornale mi ha messo molto in difficoltà…e mi ha spinto a riflettere; senza dubbio il cinema, la letteratura, l’arte e i modi di dire offrono migliaia di spunti sull’argomento da commentare, ma riflettendo sull’argomento mi sono improvvisamente ritrovato a pensare:ma quanto è importante la strada per l’uomo? E quanto l’uomo è padrone di scegliere la propria strada?

Un antico mito greco parla di come ad Achille fosse stata data la scelta, in gioventù, di scegliere tra due strade che avrebbero anche rappresentato la sua vita futura: una lunga ma insignificante…e una breve ma intensa.

Amo molto la mitologia, ma ho sempre pensato che questo racconto fosse troppo riduttivo….come è possibile ridurre la vita di un uomo in due uniche scelte? E’ come dichiarare che l’esistenza di un qualcuno possa essere definita da un'unica scelta.

Non ho avuto una vita segnata da incredibili eventi che mi hanno spinto a decisioni epocali…ho avuto una vita normale, come la maggior parte delle persone…eppure di certo a soli 26 anni mi sono ritrovato ad affrontare numerose scelte che per quanto possano sembrare insignificanti hanno guidato la mia vita ad una precisa direzione.

La verità è che non esistono decisioni stupide (tranne magari tra cioccolato e pistacchio), perché ognuna di esse potrebbe immetterci verso un cammino che ci segnerà profondamente.

Quanto detto da me fino ad ora potrebbe far pensare che sono un convinto sostenitore della teoria che l’uomo è padrone del proprio destino….ma non è esattamente così.

In realtà penso che possiamo scegliere una tra le opzioni (seppur molto varie) che il nostro personale microcosmo sociale ci può offrirci: tutte le nostre decisioni sono estremamente influenzate dall’ ambito sociale in cui viviamo, perché è in esso che cresciamo ed è in esso che si forma la nostra personalità.

Anche nel caso di soggetti che ad un certo punto della loro vita prendono decisioni che sconvolgono completamente il loro mondo, la maggior parte delle volte tali comportamenti non sono che il frutto di un qualche elemento esterno.

Credete davvero che l’avvocato che ad un certo punto abbandona tutto per andare a fare il missionario in Amazzonia sia totalmente padrone della sua iniziativa? O invece qualcosa lo ha spinto ad una tale conclusione? Forse si è reso conto che il mondo in cui viveva era solo superficialità e meschinità…ma credete che sarebbe arrivato alla stessa conclusione se fosse vissuto come un contadino in un paesello di 3000 abitanti?

Personalmente amo molto la strada, non soltanto come simbolo del tragitto esistenziale, ma anche nella sua manifestazione fisica…..percorrerla in solitudine, perso nei propri pensieri, è una sensazione di cui nessuno dovrebbe mai privarsi…..è come se Dio avesse fermato tutto solo per te, per farti sentire anche solo per un istante padrone del tuo destino.

Non so bene come spiegare questa sensazione, so solamente che ci sono dei momenti in cui sento un irrefrenabile bisogno di andare e muovermi, senza una meta precisa, ma conscio che quando sarà il momento di fermarmi e di tornare a casa lo saprò.

Inizialmente era mia intenzione parlare di quanto un uomo sia padrone della propria vita ma poi le parole sono iniziate ad uscire da sole, ed in fondo è giusto che sia stato così….la strada rappresenta la libertà, ed è giusto che un articolo su di essa non abbia alcun freno.

E se per caso a qualcuno il mio articolo può sembrare delirante e privo di coordinazione contenutistica posso dire soltanto che mi dispiace, che non era mia intenzione, e ricordando loro che, come recita un vecchio detto, ”La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”.