On the road

Come bere un bicchiere di tequila. Bum bum. Così è stato scritto On the road: tutto d’un fiato.

On the road, a scapito di ogni maccheronica quanto improbabile traduzione. Perché non si può chiamare “Sulla strada” un libro che racconta di uno spirito nato in america e poi trasferito qui. Lo spirito del viaggio. Splendido, romantico, autodistruttivo e sordido viaggio. Strada droga, meta invisibile. In realtà la meta è il viaggio stesso, la voglia di fare i vagabondi, forse di scappare da qualcosa, forse trovare se stessi fra il puzzo di benzina e i vapori dell’asfalto. On the road è stato scritto, si dice, in due settimane, sotto effetto di benzedrina. Un lungo inesorabile capitolo, tutto di seguito. Che poi editor incompetenti hanno diviso in tanti capitolini. Jack Kerouac ne è l’autore. Simbolo di una generazione intera di zingari felici con il sacco a pelo sulle spalle, nessun soldo in tasca e tanti sogni i testa. Forse lui nemmeno lo voleva, diventare un simbolo.

Lo spirito intrinseco del libro si può condividere o meno, ma la lettura ce lo sbatte addosso comunque. È come immergersi in una vasca fatta di parole, con turbini improvvisi dell’acqua, che fanno girare la testa. A volte sinceramente stancano, perché è difficile leggere la frenesia, la smania, l’ardore di qualcuno che non riesce a stare fermo, che non ha casa, che ha solo una meta.

La strada.

Bruschi Marco

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